Il 2025 porta con sé una novità che sta facendo discutere lavoratori, sindacati, politici ed economisti: il governo ha annunciato lo stop all’aumento dell’età pensionabile. Una decisione che, da un lato, sembra andare incontro al malcontento di chi vede la pensione come un traguardo che si allontana sempre di più; dall’altro, solleva dubbi enormi sulla tenuta dei conti pubblici e sulla sostenibilità del sistema pensionistico italiano.
Perché si parla di stop all’aumento dell’età pensionabile
Da anni, l’età pensionabile in Italia è legata all’aspettativa di vita: più si vive a lungo, più si lavora.
Questo automatismo, introdotto con le riforme degli ultimi decenni (da Amato a Dini fino alla Fornero), ha portato l’età minima per la pensione di vecchiaia a 67 anni.
Il governo ha però deciso di bloccare l’ulteriore incremento previsto, con una mossa che vuole essere una risposta concreta al malessere sociale: troppi lavoratori, soprattutto in mansioni usuranti, faticano ad arrivare in salute fino a quell’età.

I motivi del blocco: tra consensi e timori
I sindacati chiedono da tempo di fermare il continuo innalzamento dei requisiti. Molti lavoratori, infatti, vedono in questo stop una forma di giustizia sociale.
D’altro canto, gli economisti avvertono: senza nuove risorse, il sistema rischia di non reggere. La Ragioneria dello Stato ha già lanciato l’allarme di un possibile “cedolino pensione più basso”, perché più pensionati da mantenere significa dividere le stesse risorse in modo più sottile.
Cosa rischia chi andrà in pensione?
Bloccare l’aumento dell’età pensionabile può sembrare un sollievo immediato, ma porta con sé alcuni scenari poco rassicuranti:
- più persone che vanno in pensione prima significa di fatto più spesa pubblica da sostenere;
- il rischio di importi pensionistici ridotti, se non ci sono nuove coperture;
- possibili penalizzazioni per chi sceglie il pensionamento anticipato;
- e l’aumento della pressione fiscale per compensare i costi.
Insomma: meno anni di lavoro oggi potrebbero tradursi in assegni più bassi domani.
Confronto con l’Europa
Rispetto a
- Germania: che alzerà l’età pensionabile a 67 anni entro il 2029;
- Francia: che, dopo lunghe proteste, ha alzato l’età pensionabile a 64 anni;
- Spagna e Grecia: che hanno modelli misti, con età flessibile e contributi minimi più lunghi
l’Italia con questa proposta va in controtendenza, scegliendo di dare priorità alla tenuta sociale piuttosto che al rigore finanziario.
Il blocco all’aumento dell’età pensionabile 2025 è una scelta che incontra il favore di molti cittadini, stanchi di vedere allontanarsi sempre di più il traguardo della pensione.
Ma dietro la promessa politica si nascondono grandi incognite economiche: senza nuove risorse, il rischio di un cedolino pensione più basso è reale.
Il tema rimane aperto e destinato a dominare il dibattito nei prossimi mesi. La sfida sarà trovare un equilibrio tra bisogni sociali e sostenibilità dei conti pubblici, evitando di scaricare i costi sulle future generazioni.
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