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Il mercato del lavoro 2.0 tra precari, NEET e gig workers

Che il mercato del lavoro attuale sia complesso, fumoso e articolato è quasi scontato. Più difficile è capire quali dinamiche e quali fenomeni siano in atto nello scenario nazionale e internazionale di oggi. A descrivere la situazione ci hanno provato e continuano a provarci in molti, dai giornalisti ed esperti in economia de Il Sole 24 Ore allo staff dell’associazione senza scopo di lucro ADAPT, focalizzata sul diritto al lavoro, che tra le prime ha usato l’espressione “mercato del lavoro 2.0” nel nostro paese. Noi di Prestiti & Finanziamenti conosciamo bene le numerose problematiche ed esigenze del pubblico dei lavoratori, ecco perché vogliamo dare il nostro contributo al dibattito culturale, cercando a nostra volta di tratteggiare il quadro di un mercato mai come ora così in mutamento.

Occupazione (e disoccupazione) nel 2018

Punto di partenza potrebbe essere lo studio mensile pubblicato da Istat lo scorso ottobre sull’andamento dell’occupazione (e quindi della disoccupazione). In base alle statistiche raccolte, il numero di occupati fra i 15 e i 64 anni sta crescendo senza interruzione dal 2014 a oggi.

Se nel settembre 2018 il 68% degli uomini aveva un lavoro (+4% rispetto a gennaio 2014), per le donne la percentuale si attestava intorno al 50% (+6% rispetto a gennaio 2014).

Meno rosea la situazione dei giovani: buona parte (quasi il 75%) dei 6 milioni di under 24 in età lavorativa (con più di 15 anni) sta vivendo la condizione di NEET, acronimo di “not (engaged) in education, employment or training”, cioè non impegnato nell’educazione, nel lavoro o nella formazione. In pratica giovani che non stanno studiando, che non hanno e non stanno cercando un lavoro e che non frequentano corsi di formazione.

Inoltre, tra gli under 24, solo il 17% risulta avere un contratto di lavoro regolare.

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Contratti a termine: dal 2004 raddoppia il numero dei precari

Altro dato interessante contenuto nel report Istat riguarda il numero di contratti a tempo determinato (o contratti a termine).

Secondo le rilevazioni dell’ente, nel 2004 i soggetti con contratto a termine erano 1,8 milioni, mentre oggi lo stesso gruppo conta 3,2 milioni di lavoratori. In questo caso siamo di fronte a una crescita significativa, per cui nell’arco di 14 anni la forza lavoro dei cosiddetti “precari” è raddoppiata. Uomini, donne, giovani e meno giovani, con o senza titolo di studio, accomunati dalla mancanza di un lavoro stabile e, di conseguenza, da una forma di retribuzione sicura.

Un cambiamento questo strettamente correlato all’avvento della Gig Economy, la nuova forma di organizzazione dell’economia digitale che vede moltissimi giovani (e non) lavorare temporaneamente e per brevi periodi per piattaforme come Amazon, Uber o Deliveroo. Detto in altre parole, di quei 3,2 milioni di lavoratori, una fetta consistente è formata proprio da precari del tipo “gig workers”.

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Le professioni più richieste

Vale la pena a questo punto citare anche le statistiche raccolte ogni anno da LinkedIn, il più importante social media dedicato al mondo del lavoro (se non altro in occidente).

Osservando le 10 Top Skills, e cioè le professioni più richieste, possiamo notare a quale velocità determinate figure siano salite alla ribalta o scomparse.

Qualche esempio? Nel 2013 lo sviluppatore di app per dispositivi mobili era al secondo posto, mentre l’anno scorso, in soli quattro anni, lo stesso sviluppatore è precipitato in nona posizione. Al primo posto, in compenso, si conferma da tre anni a questa parte l’esperto in cloud computing (ossia l’esperto di tecnologie digitali legati alla fornitura di servizi “in cloud” per l’archiviazione, l’elaborazione e la trasmissione dei dati, come ad esempio i servizi offerti da Google o Amazon).

Come dire: il lavoro esiste, bisogna “solo” avere le competenze giuste per trovarlo. E per tenerselo stretto.

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