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Stipendio: parlarne è ancora un tabù?

Perché in Italia nel 2025 è ancora così difficile parlare apertamente di stipendio, anche tra colleghi? Stando alle stime, proprio questo silenzio alimenta disuguaglianze, come il gender pay gap che penalizza le donne del 20%. Dal 2026, però, tutto potrebbe cambiare con la nuova direttiva UE sulla trasparenza salariale. Ecco cosa sapere.

Omertà sugli stipendi? Una questione culturale (e strategica)

C’è una parola che fa ancora sudare freddo in molti ambienti lavorativi: stipendio.

In Italia, parlarne apertamente è considerato sconveniente, talvolta perfino maleducato. 

Eppure, sapere quanto guadagnano i colleghi (a parità di ruolo e competenze) sarebbe il primo passo per rendere il mercato del lavoro più equo.

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Conoscere lo stipendio (medio), non del collega

Dal 7 giugno 2026, con la Direttiva UE 2023/970, ogni lavoratore avrà diritto a sapere quanto si guadagna, in media, per il proprio ruolo, distinto per genere.

È la fine del cosiddetto “segreto salariale”, un cambiamento che promette di rendere il mercato del lavoro più trasparente ed equo, soprattutto nella lotta al divario retributivo tra uomini e donne.

Ma cosa cambierà davvero per lavoratori e lavoratrici? E per le aziende?

Diritto alla trasparenza e il nodo irrisolto del Gender Pay Gap

A parità di mansione, le donne italiane guadagnano in media il 20% in meno rispetto ai colleghi uomini. È un dato che non sorprende, ma che preoccupa. E che, come sottolinea l’INPS nel Rendiconto annuale di genere, non è frutto del caso.

Le cause sono strutturali:

  • contratti più precari e meno retribuiti per le neoassunte;
  • carichi familiari squilibrati, che rallentano le carriere femminili;
  • rappresentanza dirigenziale ancora minoritaria (solo il 21,1% dei dirigenti è donna);
  • copertura previdenziale più bassa, con conseguenze evidenti anche sulla pensione.

È un percorso a ostacoli che comincia all’ingresso nel mondo del lavoro e che si amplifica nel tempo, generando uno squilibrio salariale difficile da recuperare.

Ecco perché, per invertire la rotta, l’Europa ha deciso di intervenire in modo concreto. 

Con la Direttiva UE 2023/970, tutti gli Stati membri dovranno recepire, entro giugno 2026, norme vincolanti per garantire trasparenza nelle retribuzioni.

Ma cosa cambierà nel concreto?

Stop alla discrezionalità

Le aziende dovranno dimostrare che i loro sistemi retributivi sono oggettivi, non discriminatori e neutri dal punto di vista del genere.

Trasparenza in fase di assunzione

I datori di lavoro non potranno più chiedere ai candidati lo storico dei salari precedenti, né basare le offerte su questi parametri.

Diritto all’informazione

Ogni dipendente potrà richiedere dati sulla propria retribuzione in confronto a quella di colleghi con mansioni simili.

Reporting obbligatorio

Dal 2027 le aziende con oltre 250 dipendenti (e dal 2031 quelle sopra i 100) dovranno rendicontare pubblicamente il divario salariale medio, e se questo supera il 5% senza giustificazioni valide, saranno obbligate ad avviare un piano di riequilibrio con i sindacati.

Cosa dovranno fare le aziende italiane (subito)

Le imprese dovranno prepararsi fin da ora, analizzando i propri sistemi retributivi, correggendo eventuali squilibri e definendo procedure trasparenti di comunicazione.

Anche perché la direttiva non riguarda solo le grandi aziende: vale per tutti, indipendentemente dalla dimensione.

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